In 150.000 per la giustizia climatica e contro le grandi opere

Sono 150.000 le persone che hanno aderito alla marcia per il clima e contro le grandi opere inutili e dannose. Una partecipazione straordinaria, data dalla convergenza di centinaia di comitati, movimenti e realtà che da anni operano nei propri territori e che, dallo scorso settembre, hanno dimostrato di voler affiancare alle battaglie locali un secondo livello, la cui progettualità trascende le vertenze territoriali. Il nuovo fronte che si apre è quello per la giustizia climatica, un claim che non può prescindere dalla critica alle grandi opere e al modello di sviluppo da cui dipendono. La giornata di oggi ribadisce l’unità e la coesione di intenti di un percorso che, nella marcia di oggi, ha visto solo l’inizio.

Sono giunti da ogni angolo del Paese, per un totale di quasi duecento bus, dopo un percorso fatto di assemblee nazionali e locali. Sono i movimenti che da decenni si battono nei territori, ma anche quelle giovanissime generazioni che lo scorso 15 marzo hanno scioperato contro il climate change nella giornata del Fridays for Future, al pari dei loro coetanei di tutto il mondo. Sono 150.000 le persone che oggi attraversano Roma con un unico slogan: «System change, not climate change».

Ci sono le bandiere storiche dei comitati ambientali, ma anche i cartelli con le rivendicazioni della più recenti lotte ecologiche globali. Un connubio naturale, quello tra chi si oppone alle grandi opere e chi rivendica giustizia climatica. Connubio che passa dalla consapevolezza che non esistono modelli di sviluppo sostenibili nel capitalismo e dalla conseguente necessità di costruire una società libera dall’estrattivismo, dal colonialismo, dalle diseguaglianze sociali.

Si respira aria di urgenza nella piazza di oggi: quella di invertite radicalmente la marcia sulla questione climatica e di porre fine al governo giallo-verde, che sta mostrando il volto più viscido e autoritario del neoliberismo. Ma si percepisce in maniera netta anche il respiro della speranza, del desiderio di mettere in comune lotte e istanze che nascono dal basso, dell’entusiasmo di chi – oltre ai fossili – vuole lasciare sotto terra anche la rassegnazione.

La giornata è iniziata con un presidio a Porta Pia di fronte al ministero delle infrastrutture e dei trasporti, indetto dal movimento per il diritto all’abitare. Sono stati esposti due grandi striscioni “Una sola grande opera casa e reddito per tutti/e” e “Basta guerra ai migranti. Free Mare Jonio. I porti non si chiudono #indivisibili “. Il presidio si poi è spostato verso piazza della Repubblica, unendosi nel percorso con gli studenti e le studentesse partiti dalla Sapienza in direzione del concentramento della grande marcia per il clima e contro le grandi opere inutili.

«Il futuro del nostro Paese lo dobbiamo decidere noi. A sarà düra» si apre così, con un noto slogan dei NoTav, l’attesissimo corteo, che parte da una piazza della Repubblica gremita.

La dimensione veramente nazionale si percepisce sin dall’inizio. Dalla Val di Susa alla Sicilia: dopo l’apertura NoTav è infatti Pippo, del comitato No Muos, a parlare. Un intervento che ricorda il legame tra guerra, capitalismo e cambiamenti climatici. L’invito è a unire tutte le lotte territoriali: «Alzate la bandiera NoMuos come noi alziamo tutte le vostre bandiere».

La rabbia degli attivisti tarantini per il vergognoso accordo sottoscritto dall’attuale governo con il colosso Mittal emerge dalle loro parole: «L’Ilva va chiusa. Non esiste una fabbrica come quella che può essere “ambientalizzata”».

Il Veneto dimostra con grande chiarezza la potenza distruttiva del capitalismo sulla vita e sulla natura: non esiste alcuna possibilità di trasformare l’attuale modello di sviluppo in una versione sostenibile dello stesso. «Bisogna cambiare tutto per non cambiare il clima», questo l’appello lanciato da Francesco dei centri sociali del nord-est.

Un appello condiviso anche dal Forum Acqua, che ricorda la vittoria del referendum fatto nel 2011 e rivendica un ambientalismo che sia anticapitalista. «Una sola grande opera: acqua pubblica per tutti».

Il corteo ha dimostrato fin da subito un forte carattere intergenerazionale: al fianco delle componenti “storiche” di molti comitati sfilano infatti tantissimi giovani. Tra questi, i primi a prendere la parola sono i giovani valsusini, fermi nel ribadire il loro impegno nella lotta contro ogni forma di sfruttamento del territorio. Attualmente, la Valsusa rappresenta uno dei territori più prossimo a subire gli effetti della devastazione ambientale e i rischi connessi al cambiamento climatico. «Siamo contro le grandi opere inutili che sappiamo benissimo essere dannose per i territori e vantaggiose per quei poteri mafiosi che le finanziano. Vogliamo riprenderci il nostro futuro e non ci fermeremo!»

È ancora un giovane a prendere la parola dopo i NoTav: Sebastiano, di #FridaysForFuture Venezia che ricorda le centinaia di migliaia di persone scese in piazza in tutta Italia appena una settimana fa per lo sciopero globale per il clima. Solo a Venezia sono stati più di 10 mila i ragazzi e le ragazze determinate a occupare le calli di una città che, con i suoi +80 cm dal livello del mare, rappresenta il più chiaro esempio di urgenza di fronte all’innalzamento del medio mare. Una città costretta a subire i devastanti effetti di opere come il Mose e di politiche favorevoli alle grandi navi. La forza delle piazze dello scorso venerdì ha lasciato il segno, precisa Sebastiano: «i giovani di oggi hanno idee molto chiare sull’attuale modello di sviluppo che mette i profitti prima della vita delle persone e hanno tutta l’intenzione di riprendersi il futuro che gli hanno rubato»!

È di nuovo il sud a prendere la parola attraverso il Movimento contro la centrale del Mercure (Calabria). Uno scempio nel cuore del parco del Pollino, un’area nominata patrimonio dell’Unesco, che mette seriamente a rischio la salute e la sopravvivenza della popolazione e del delicatissimo ecosistema.

Torna a farsi sentire la voce delle lotte calabresi attraverso le parole di Vittorio, del coordinamento dei comitati calabresi per le lotte ambientali: «Siamo costretti a subire un modello di sviluppo che ci è stato imposto. Ci sono state propinate favolette sul mito dell’industrializzazione, sulle prospettive di occupazione, di sviluppo». Una narrazione ben diversa dalla realtà della regione meridionale, abbandonata allo sciacallaggio, alla devastazione ambientale e all’incuria.

Sono poi le attiviste di Non Una Di Meno – Roma a prendere parola sulla necessità di un cambiamento che parta dal cuore, dall’origine dei problemi. La necessità di assumere una prospettiva eco-transfemminista e antispecista è cruciale per superare la prospettiva antropocentrica tipica del neoliberismo. «Nessuno sarà libero finché non riusciremo a scardinare questi meccanismi di dominio», ugualmente alla base di ogni forma di sfruttamento.

Tra gli interventi trova spazio anche il ricordo di una grande vittoria di cui abbiamo avuto notizia negli ultimi giorni: Baghouz è libera. L’intero territorio siriano è stato liberato dal Califfato. La vittoria a Baghouz è la vittoria di una rivoluzione basata sugli ideali di libertà, autogoverno, ecologia, contro il dominio dell’uomo sulla donna, contro le idee criminali di Daesh. Questa vittoria rende giustizia alle migliaia di turchi, arabi, cattolici e musulmani uccisi dagli integralisti, alle vittime del Bataclan di Parigi e di tante altre città del mondo. Questa vittoria è per Orso, caduto lunedì tra quelle macerie e per tutti i compagni con cui stava combattendo su quel fronte. «Lorenzo Orsetti è un esempio per tutti noi, disposto a mettere in gioco la vita per la libertà. Sapeva benissimo quel che stava facendo ma era disposto ad affrontarlo per i suoi ideali». Lo stesso coraggio e la stessa generosità hanno animato anche altri combattenti, tra cui i cinque compagni che lunedì saranno convocati in udienza per decidere sulla loro “pericolosità sociale”, cui va la solidarietà del corteo.

Continuano gli interventi da parte dei comitati: è il turno di No Hub del gas. Un’enorme infrastruttura che interessa Abruzzo e Puglia, ricorda un’attivista, votata al profitto dei colossi Eni e Snam, che mentre saccheggiano e distruggono intere regioni si arricchiscono a scapito della salute e della salvaguardia dei territori e di chi li abita. «L’ecologismo non è una moda, non nasce oggi», si puntualizza dal microfono. I comitati si battono da anni, da decenni in alcuni casi, e non hanno alcuna intenzione di tirarsi indietro proprio adesso.

L’insistenza sulla longevità – e sulla lungimiranza – delle lotte ambientali ricorre anche nelle parole di Stop Biocidio. Un omaggio, quello reso da Andrea, soprattutto alle donne del sud Italia, che in tempi non sospetti hanno iniziato a denunciare le condizioni allarmanti di interi territori, che hanno ricevuto per tutta risposta l’etichetta di “allarmiste” o “negazioniste”. La piazza di oggi, continua, dimostra che hanno sempre avuto ragione e dà voce a un’altra notizia, che non può più essere taciuta. «I colpevoli» delle devastazioni, dello sfruttamento dei territori, degli effetti del cambiamento climatico «hanno nome e cognome, e siedono nei consigli di amministrazione delle principali multinazionali»

Il corteo volge ormai alla conclusione e a prendere la parola è di nuovo una giovanissima. Marta, di #FridaysForFuture, ribadisce, anche a fronte delle spiacevoli polemiche, la coerenza di chi dopo essere sceso in piazza lo scorso venerdì rispondendo alla chiamata di Greta Thunberg è tornato a far sentire la propria voce nella giornata di oggi. «Non si può essere contro il cambiamento climatico ma a favore delle grandi opere»: esserlo significherebbe fraintendere completamente il ruolo dell’attuale modello di sviluppo nel climate change. «Non esiste un’ora X in cui aspettarsi i cambiamenti climatici», continua Marta, ne viviamo gli effetti già ora, ma le risposte che otteniamo dai governi sono quelle del progresso per il progresso. Sono risposte all’insegna dell’incoerenza e della scelleratezza, come le politiche di cementificazione e finanziarizzazione tipiche del Veneto a gestione leghista, ma sono anche quelle del mito di un “capitalismo sostenibile” propugnato dal neoeletto Zingaretti, che ha dedicato la propria vittoria a Greta Thunberg salvo visitare, l’indomani, i cantieri del Tav ribadendo la necessità di continuare i lavori.

La risposta della piazza di oggi è stata tale da non togliere alcun dubbio: la strada è ancora lunga, ma sarà sicuramente un percorso comune e condiviso. Per questo motivo, il Lido di Venezia ospiterà dal 4 all’8 settembre, in contemporanea alla Mostra del Cinema, il primo climate camp internazionale su suolo italiano. Un appuntamento di condivisione, attivismo e formazione all’insegna della pluralità di esperienze secondo un modello già collaudato in molti altri Paesi e ampiamente sfruttato da un movimento come Ende Gelände.

claim della marcia di oggi sono chiari: messa in sicurezza dei territori, giustizia climatica, giustizia sociale. E la folla oceanica protagonista di questa giornata di lotta sa che nessuno di questi obiettivi sarà realizzabile fino a quando il modello di sviluppo imposto sarà quello capitalista.

 

 

Tratto da GlobalProject.info

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